Convegno - Fidca

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Elaborati di Christian Tarantino

Il Convegno Interalleato:
“Tutti al Piave! Disse il Re a Peschiera”

a cura di Christian Tarantino

L’8 novembre 1917, pochi giorni dopo la grave sconfitta subita dalle truppe italiane sull’Isonzo nella dodicesima battaglia e la conseguente ritirata, prima al Tagliamento e poi al Piave, la grave disfatta di Caporetto[1], successivamente alla Conferenza di Rapallo[2] (GE), Re Vittorio Emanuele III con i rappresentanti d’Italia, Gran Bretagna e Francia si incontrarono a Peschiera del Garda (VR) per analizzare la situazione militare e studiare le necessarie contromisure. Le decisioni adottate a Peschiera risulteranno fondamentali per la successiva condotta della guerra e per le controffensive del 1918. Da non sottovalutare l’importanza della linea adottata dal Re, che potremmo definire “politica”, una direzione che era quella del perseguimento dell’unità territoriale piena, in ossequio agli italiani morti al fronte, ed agli italiani delle guerre risorgimentali. Sua anche la decisione di sostituire il Gen. Luigi Cadorna, capo di Stato Maggiore con il generalissimo Armando Diaz. Le sue scelte risultarono vincenti, e questo gli va riconosciuto senza ombra di dubbio. Di seguito alcune testimonianze di accreditati e meritevoli cronisti.[3]

Riferisce Lloyd George [4] parlando di Vittorio Emanuele III: “Io sono stato molto impressionato dalla calma e dalla forza che egli dimostrò in una occasione come quella, in cui il Paese e il suo trono erano in pericolo. Egli non tradì alcun segno del timore o di depressione. Pareva ansioso solamente di cancellare in noi l’impressione che il suo esercito fosse fuggito, e trovava mille scuse e giustificazioni per questa ritirata”.
Sottolinea Alberto Consiglio[5]: “Si è ripetutamente affermato, da parte di autorevoli scrittori e giornalisti, l’Ojetti per esempio, e Ostello Cavara, che fu il Re a Peschiera, che riuscì a rassicurare gli alleati e a persuaderli a prestare aiuti necessari per la resistenza sul Piave. In seguito, questo decisivo intervento di Vittorio Emanuele fu negato, e si volle sostenere che a Rapallo la decisione di porre la linea di resistenza sul Piave fu presa senza che in essa influisse il parere del re. Si comprendono le ragioni polemiche di questo disconoscimento. Guardiamoci dal lasciarci trascinare dall’opposto zelo polemico e teniamoci alla più autorevole e serena e disinteressata delle testimonianze: quella di Lloyd George, il quale narra come Robertson e Foch fossero nettamente contrari, a Rapallo, ad ogni aiuto all’Italia e come lui stesso avesse avuto ‘impressione negativa’ dalla esposizione della nostra situazione militare fatta dal generale Porro (che passava per essere un gran cervello di guerra). A Rapallo venne si preso in ‘considerazione’ il proposito di stabilire la difesa sul Piave: ma gli alleati non riuscirono ad ottenere informazioni adatte sulle quali fondare delle decisioni che implicavano l’impegno e il rischio di numerose divisioni, sottratte alle riserve del fronte occidentale”.

Riporta l’Ass. Combattenti e Reduci, Federazione di Verona[6]: “La sera del 7 novembre tutti i componenti della conferenza, militari e civili, partirono per Peschiera. Il Re Vittorio Emanuele III, avvertito telegraficamente, assieme al Ministro Bissolati partì da Padova, ultima sede del Comando Supremo, e arrivò a Peschiera la mattina dell’8 novembre. Erano presenti al Convegno, oltre alla nostra rappresentanza a Rapallo; per la Francia: Il Presidente del Consiglio Painlevé, il Ministro Barrere, il Generalissimo Foch e il Gen. Francklin Bouillon. Per l’Inghilterra: Il Lord Premier Lloyd George, i Gen.li Robertson e Wilson nonché il Gen. Smuts. Fu allora, nella nuda sala della palazzina di Peschiera, costruita là dove giganteggiò il mastio della gloriosa fortezza, che Vittorio Emanuele III coronò mirabilmente l’infaticabile opera che, fin dalla dolorosa giornata del 24 ottobre in cui il nemico irruppe sul Rombon, Egli aveva tenacemente iniziata col non comune sangue freddo che gli veniva dalla sicura conoscenza dello spirito dei suoi soldati, che egli aveva seguito passo passo nello svolgimento di undici battaglie vittoriose.
Per tre ore, parlando correttamente il francese e l’inglese, il Re discusse sui vari argomenti e prospettò la necessità assoluta della difesa sul Piave perché qualsiasi altro schieramento avrebbe dato luogo ad una irreparabile sciagura se da un momento all’altro anche il fronte trentino avesse ceduto; che la linea del Piave era l’unica capace di proteggere con le sue innumerevoli strade una eventuale ritirata dalla parte del mondo e basso Adige, e  l’unica che permettesse di salvare la regione comprendente Treviso, Verona, Vicenza.
Le argomentazioni furono espresse con parole convincenti ed apparivano dettate da così profonda conoscenza degli uomini e delle cose, che gli ascoltatori, dapprima piacevolmente sorpresi, finirono con l’essere convinti ed accettarono la responsabilità del piano di resistenza e di difesa che più tardi avrebbe condotto a Vittorio Veneto, e cioè alle supreme rivendicazioni nazionali, che così Egli sicuramente preconizzava. Durante un intermezzo del Convegno, mentre i rappresentanti delle nazioni ne approfittavano per un fragile spuntino, fu compilato il proclama alla Nazione che il Re lesse alla ripresa della seduta”.

Rimarca il Comm. Mario Angelo Prof. Boccalaro[7]: “In quella mattina dell’8 novembre 1917 a Peschiera cadeva una pioggia sottile, gelida e la nebbia, vaporando dal fiume, occupava le strade della cittadina. Vittorio Emanuele III arrivò per primo e con il Ministro Mattioli Pasqualini. Più tardi giunsero da Rapallo, dove si era svolta una riunione tra i capi alleati, i Ministri anglo francesi, gli Italiani, i militari del seguito. Dopo un preambolo di Lloyd George, il Re fece l’esame della situazione che nessuno, generali compresi, conosceva così bene come Lui.
Quali erano, anzitutto, le cause principali del cedimento dell’Esercito?
Il Re prese ad elencarle.
La nebbia, levatasi il giorno dell’attacco contro il settore settentrionale dello schieramento, che aveva reso impossibile l’uso delle artiglierie.
L’Esercito Italiano dall’inizio della guerra aveva già perduto 30mila Ufficiali; i nuovi non avevano potuto ricevere un’istruzione militare completa, mentre i soldati erano stati addestrati soprattutto a scavare e a tenere trincee. Non era grave la cosiddetta penetrazione pacifista nell’Esercito e se mai c’erano delle colpe bisognava ricercarle negli errori dello Sato Maggiore e nell’usura della guerra di posizione.
Il Re proseguì facendo un bilancio esatto della ritirata e quindi concluse che bisognava opporre sul Piave una resistenza disperata perché se le linee avessero ceduto ancora, oltre alla perdita di Venezia si sarebbe dovuto provvedere a inviare la flotta nelle basi di Brindisi e di Taranto, lontane dal teatro operativo.
Occorreva pertanto tenere il Piave e non permettere assolutamente al nemico di attraversarlo e di occupare il Monte Grappa.
Rispondendo poi a Lloyd George che aveva chiesto un radicale cambiamento nello Stato Maggiore Italiano, il re disse che, pur non concordando con le critiche mosse contro il generale Cadorna, ammetteva la necessità di cambiamenti e a tal proposito annunciò che aveva già preso la decisione di sollevare dal comando il generale Cadorna e di sostituirlo con il generale Armando Diaz.
Il Re d’Italia parlò per quasi 3 ore; terminato il Convegno e allontantisi gli Alleati, venne preparata la bozza del Proclama da lanciare alla Nazione, Proclama che contiene la celebre frase: “Cittadini e soldati”, siate un esercito solo!”.
Vittorio Emanuele Orlando riferì alcune parole che Lloyd George gli aveva detto in Italiano, “Che grande uomo è il Vostro Re”, ma il volto di Vittorio Emanuele, sempre teso per tutta la durata del Convegno, non si spianò. L’inquietudine non era scomparsa e il destino batteva alle porte.
Si sarebbe avverato il miracolo?
Se così non fosse stato, tutto il nord d’Italia sarebbe caduto nelle mani del nemico.
Ma il nemico non passò.
Nella mattinata dell’8 novembre a Peschiera, il Re d’Italia aveva indirizzato dove Lui aveva fermamente voluto il corso della Storia”.

Silvio Bertoldi [8] annota: “Dopo lo sfondamento austrotedesco, è lui a gestire la crisi politica, chiamando Vittorio Emanuele Orlando, e quella militare, rimuovendo Cadorna e affidando il comando ad Armando Diaz; ed è lui a partecipare al convegno di Peschiera dell’8 novembre, dove i primi ministri inglese e francese e i sentanti italiani le contromisure da prendere dopo la rotta. Il ruolo di Vittorio Emanuele III a Peschiera non è determinante, ma la celebrazione che ne viene fatta è illuminante su ciò che la monarchia rappresenta allora per tenere aggregato il Paese. A Peschiera piove, fa freddo, il paese è deserto, il Garda ha un’aria tetra e desolata. Ci si è dimenticati di riscaldare la sala delle riunioni, il palazzetto è gelido. Non si è provveduto nemmeno alle macchine per trasportare gli ospiti dalla stazione. Vittorio Emanuele verrà preso a bordo da una vettura dei francesi. Nessuno degli italiani presenti parla le lingue e il Re, che si esprime correttamente in francese e in inglese, afferra il bandolo della discussione. Annuncia la sostituzione di Cadorna, tiene fermo per la difesa del Piave quando gli Alleati vorrebbero che arretrassimo subito all’Adige, abbandonando anche il Veneto. I rappresentanti Italiani non aprono bocca, anche perché non saprebbero farlo, ma il piccolo Re non tentenna, è convincente. E alla fine ottiene ciò che chiede, arriveranno i rinforzi”.
Ancora, dal trattato “Architetture Asburgiche nella città fortificata veneta”[9] riscontriamo: “Nella medesima sala d’onore del Palazzo del Comando[10], poi denominato “Sala del Convegno”, ebbe a compiersi un altro avvenimento, assai più celebre, decisivo per le sorti del Regno d’Italia, in un momento di gravissimo pericolo. Era l’anno 1917, durante la Grande Guerra. Dopo il cedimento del fronte orientale, in seguito alla sconfitta di Caporetto, l’esercito austro-ungarico avanzava verso la pianura veneta. Il giorno 8 novembre si tenne a Peschiera il convegno Interalleato durante il quale Vittorio Emanuele III, contro coloro che sostenevano la necessità di abbandonare la linea di resistenza, sul Piave, assicurò che l’Esercito italiano era in grado di resistere su di essa. Nella sala d’onore del Palazzo del Comando erano convenuti il Ministro della Guerra inglese, Davide Lloyd George; Paul Painlevé, Ministro della Guerra francese, accompagnato dal Maresciallo di Francia Ferdinand Foch, aggiunto al generalissimo Bouillom; il Re era accompagnato dal Presidente del Consiglio, Vittorio Emanuele Orlando, e dal Ministro degli Esteri, Giorgio Sidney Sonnino. Il Re d’Italia con assoluta padronanza d’argomento e grande calore oppose alle obiezioni mosse dagli interlocutori tale fede incrollabile nel nostro Esercito e tale volontà di resistere, che riuscì a conquistare l’uditorio ed a ottenere l’aumento del contingente militare alleato”.
In tale sede, inoltre, fu stilato il proclama alla Patria:

“Italiani, cittadini e soldati! Siate un esercito solo. Ogni viltà è tradimento, ogni discordia è tradimento, ogni recriminazione è tradimento. Questo mio grido di fede incrollabile nei destini d’Italia suoni così nelle trincee come in ogni più remoto lembo della Patria, e sia il grido del popolo che combatte e del popolo che lavora. Al nemico che, ancor più che sulla vittoria militare conta sul dissolvimento dei nostri spiriti e della nostra compagine, si risponda con una voce sola: Tutti siamo pronti a dare tutto per la vittoria e per l’onore d’Italia”.
Terminato il Convegno la Storia fece il suo corso e la vittoria giunse il 4 novembre 1918, dopo un ulteriore anno di guerra. Nel 1923 a seguito di una documentazione cartacea richiesta dal Tenente Generale Luigi Segato all’Onorevole Orlando, che aveva vissuto in prima persona l’evento, emerse in una bellissima e dettagliata lettera[11] la volontà di commemorare il convegno. Venne così costituito il primo Comitato d’Onore[12] che incaricò Annibale Grasselli Barni di compilare un’epigrafe e al Conte Renato d’Agliano fu assegnato il compito di studiare il progetto artistico per una lapide, qui di seguito riportata:
QUI
DOVE LE PRIME VITTORIE DELLE ARMI REDENTRICI
GUIDATE DA CARLO ALBERTO IL MAGNANIMO
SEGNARONO L’INIZIO DELL’UNITÀ NAZIONALE
L’8 NOVEMBRE 1917
PRESENTI I CAPI DELLE MILIZIE ALLEATE
VITTORIO EMANUELE III, IL RE SOLDATO
RIVENDICANDO ALL’ITALIA L’IDEA E IL COMPITO
DELLA EROICA DIFESA SUL PIAVE
PREPARAVA VITTORIO VENETO
In definitiva, a Peschiera, come scrisse Bruno Borlandi su “Veneto Notte” di Venezia nel 1982, avvenne un vero consulto ad alto livello al capezzale della grande ammalata (l’Italia). Ammalata di sconforto e di sfiducia con complicazioni gravi provocate dalla propaganda sovversiva che serpeggiava fra i soldati (“Non più inverno in trincea”, etc.). Ebbene, al convegno ci fu uno e un solo “medico” ad avere fiducia nella ripresa e nella guarigione dell’Italia: il Re Vittorio Emanuele III. Egli, si oppose recisamente alle proposte alleate di far arretrare le truppe italiane fino al Po e alla pianura padana. Il Re ordinò: “Tutti al Piave!”. E dal Piave iniziò la riscossa. Un anno di tenace consolidamento delle nostre linee, poi l’avanzata per la riconquista del Veneto invaso. Rappresentò per la Nazione un motivo di rivalsa, e soprattutto di fiducia che, esattamente 12 mesi dopo, si sarebbe tramutata in realtà poiché fu l’Italia a sfondare a Vittorio Veneto e a travolgere ogni resistenza; ed il seguente mito del “Re soldato” a giusta ragione pose Vittorio Emanuele III come principale protagonista dell’epopea della Prima Guerra Mondiale.
Il Re oppose sempre una fede incrollabile nel nostro esercito e non sbagliò. È bene che il popolo italiano sappia che l’umile ed anonimo soldato italiano, quello che poi doveva essere glorificato come “Milite Ignoto”, ebbe nel sovrano un difensore tenace e commosso, anche quando era di moda far gravare su di esso le cause del rovescio militare.
Non c’era nessun altro se non il Re a difendere l’onore del soldato italiano. Non c’era il generale Cadorna, capo di S. M., esonerato dall’incarico dopo Caporetto, non c’era nemmeno il Generale Porro, sottocapo di S.M., pure esonerato; non poteva ancora esserci il generale Diaz, nuovo capo di S.M. Del resto il Re era ben consapevole che il disastroso stato dei soldati era da imputare a Cadorna che li angariò, li sfruttò, li tenne lontani da casa per mesi, li equipaggiò malissimo, li sottopose alle intemperie, li mandava stoltamente ad assalti criminali, ma di tutto ciò non ne fece parola al Convegno perché non amava attardarsi nella ricerca delle colpe di qualcuno, non credeva nell’utilità di soffermarsi sulle varie recriminazioni intorno al passato, ma non condivideva nemmeno che la colpa, per intero, venisse scaricata sui combattenti.
Vittorio Emanuele, di fatto, raccolse nelle sue mani la somma dei poteri politici, diplomatici e militari, portando l’Italia fuori dal pericolo con perizia, con prudenza e risolutezza.
“Misero quel popolo che non si riconosce nei suoi eroi” Fermo restando che il ripudio della guerra è principio e base fondante della società civile, assieme al valore di ricordare e onorare i Caduti che, compirono esclusivamente il loro dovere con spirito di sacrificio, e non sarà mai invano, le loro giovani vite spezzate hanno prodotto fecondi e copiosi semi di pace.
Non resta che augurarsi che nelle scuole di oggi si rammenti al meglio il “Convegno di Peschiera” e, cosa ha significato per la nostra Patria, grazie al Centenario della Grande Guerra (2014-2018) che dovrebbe stimolarne la rievocazione storica.
Viva i Combattenti Italiani!!!
Viva l’Italia!!!


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Note:
[1] Articolo di Bruno Borlandi apparso su “Veneto Notte” di Venezia il 13 novembre 1982: “Fu un drammatico autunno a Caporetto, 24 ottobre 1917, dove gli austriaci, per grave colpa del generale Badoglio che non fece entrare in azione i cannoni per bloccare l’avanzata, stavano dilagando verso la pianura dopo aver aperto una falla nello schieramento italiano.
[2] s.v. Marescotti Luigi Aldrovandi, “Guerra diplomatica”, Mondadori, 1936: “A Rapallo (6-7 novembre 1917), in un momento in cui la Germania sembra l’effettiva vincitrice della guerra dopo i successi riportati sulla Russia e sull’Italia, gi alleati di Francia e Gran Bretagna, imposero all'Italia due condizioni ben precise: innanzitutto una maggiore cooperazione militare attraverso la creazione di un organismo denominato Consiglio Supremo di Guerra, e poi la destituzione di Cadorna dalla guida dell'Esercito Italiano, ritenuto unico responsabile del disastro di Caporetto. I francesi sottolinearono che si trattava di una condizione ‘sine qua non’, altrimenti Parigi non avrebbe inviato rinforzi, ovvero, le sue divisioni da porre sotto il comando dello Stato Maggiore Italiano”.
[3] s.v. Petillo Arturo, “Convegno Interalleato. Peschiera del Garda - 8 novembre 1917”, Società Sala Storica, 2007.
[4] Cfr. Verbale integrale dell’Incontro di Peschiera (1917) redatto da Lloyd George e da lui stesso definito storico.
[5] Cfr. Vittorio Emanuele, il Re silenzioso di Alberto Consiglio, 1950, Rizzoli.
[6] Cfr. Opuscolo dell’Associazione Nazionale Combattenti e Reduci di Verona, 1953.
[7] Cfr. Opuscolo Redatto dal Prof. Boccalaro Mario, 1988.
[8] Cfr. “I Savoia”. Album dei Re d’Italia.
[9] Cfr. Studio del Comune di Peschiera, a cura del Dott. Arch. Bozzetto, 2002.
[10] Cfr. Petillo Arturo, “Convegno Interalleato. Peschiera del Garda - 8 novembre 1917”, Società Sala Storica, 2007: “La Palazzina, che si inserisce nei quartieri militari voluti dagli Asburgo, fu costruita dal 1852 al 1854. Posizionata all’interno della cittadella militare in Peschiera, nel luogo, denominato oggi Piazza della Serenissima, la Palazzina Storica fu dichiarata Monumento Nazionale con R.D. del 20 dicembre 1937. Essa è costituita da due piani, un piano terra e un primo piano”.
[11] Cimelio custodito nella seconda sala del Museo di Peschiera.
[12] Comm. Grasselli Barni, il Capo dell’Associazione Monarchica Italiana, i Sindaci della città di Torino, Roma e Peschiera.
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