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LA BATTAGLIA DI EL ALAMEIN
di Luigi Mazza

Il motivo di questo elaborato, è quello di venerare, a distanza di circa 70 anni dagli epici avvenimenti, “i ragazzi del ‘42”; quei giovani che hanno creduto nei Valori fondamentali di ogni popolo; quei Valori per cui si sono battuti fino all’estremo sacrificio della propria vita: i ragazzi di “El Alamein”. Essi potrebbero parlare al cuore dei ragazzi di oggi, per esortarli a riscoprire i Valori e dare giusta importanza a parole quali: Patria, onore, disciplina, obbedienza, coraggio ed eroismo; virtù, oggi relegate a mera retorica. Più che la forza militare, la vera arma di questi giovani Paracadutisti, era il loro valore morale. L’impegno ad onorare la nostra bandiera, con il giuramento prestato al Re ed alla Patria; questi sono i valori morali che li opposero in una lotta cruenta e senza speranza, ad un avversario enormemente superiore in numero e mezzi.

Sarebbe troppo lungo elencare gli atti di eroismo di cui si coprirono questi magnifici servitori della Patria, che tanto onore hanno portato alla Brigata Paracadutisti “Folgore”, all’Esercito Italiano, all’Italia intera a cui appartenevano, anzi, a cui appartengono tuttora. Sì, perché essi, caduti per un’idea senza rimpianto, onorati nel ricordo dallo stesso nemico, additano ai posteri, nella buona e nell’avversa fortuna, il cammino dell’onore e della gloria.

Un esempio per tutti: “Vorrei avere il tempo, prima di cadere, di gridare VIVA IL RE”, disse il Capitano Guido Visconti, uno dei coraggiosi Ufficiali Paracadutisti Comandanti di Reparto. E così avvenne, in seguito ad una salva del nemico caduta sulle posizioni della sua Compagnia, quando una scheggia di granata si conficcò nella sua spina dorsale, mentre si apprestava a verificare se vi erano state vittime. Lo trovarono esanime nella sabbia. Soffriva atrocemente, ma non un lamento sfuggiva dalle sue labbra.
Una pagina di patriottismo Italiano, vissuta da uomini il cui eroismo, ha scritto pagine di gloria, che sono state tramandate alle successive generazioni e che hanno fatto scuola nelle più importanti accademie militari del mondo, anche se in Italia, per lunghi anni è stata tenuta incomprensibilmente e ingiustificatamente nascosta, come se si trattasse di una cosa di cui vergognarsi e, anche se tardivamente, solo grazie alla visita di qualche anno fa del Presidente della Repubblica Italiana, che ha reso onore a questo Sacrario, doverosamente restituita alla nostra storia patria.
La rivisitazione del film di Enzo Monteleone di qualche anno fa, dal titolo: “EL ALAMEIN - LA LINEA DEL FUOCO”, non ha reso che in minima parte, gli atti di eroismo di cui si coprirono i nostri soldati.

Tutto accadde nel deserto del Sahara occidentale egiziano, in cui si trova il piccolo villaggio chiamato “EL ALAMEIN!”, che in lingua egiziana significa: “le due bandiere”. Io che ho avuto modo di visitare i luoghi della battaglia, lo definirei una goccia d’Italia nell’infuocato deserto africano. Oltre novemila morti e diciassettemila feriti. Un’epica pagina di storia, scritta fra il 23 ottobre e il 5 novembre 1942, nel corso dell’ultima sfortunata vicenda bellica, da valorosi giovani; il fior fiore degli Italiani; un manipolo di uomini, fra i migliori d’Italia, che prima di essere sbaragliati da un nemico, la cui soverchia in uomini e mezzi è nota, mise per lungo tempo in serie difficoltà l’intera VIII Armata britannica.

I fatti d’arme
Soffermiamoci per un momento a pensare alla quotidianità della guerra, pur nella drammaticità delle vicende dolorose, che, se raccontate nel giusto contesto storico, devono servire a meglio orientare le future generazioni, ora distolte dal benessere e disorientate dalla decadenza dei valori, dalla mancanza di modelli a cui ispirarsi, proprie dell’era del consumismo moderno.

L’avanzata dei nostri soldati in Africa Settentrionale, sotto la guida del Generale Rommel, avrebbe dovuto condurci ai pozzi di petrolio attraverso Alessandria, il Cairo e Suez, per tagliare il traffico marittimo agli Alleati.

Per darvi un’idea delle sproporzioni, faccio un excursus delle forze in campo:

  • il Generale britannico Sir Bernard Law Montgomery (Kennington, Londra 17 novembre 1887 - Alton, Hampschire 24 marzo 1976) disponeva di 220.000 uomini dell’VIII Armata, contrapposti a 43.000 soldati italiani e 53.000 tedeschi, per un totale di 96.000 uomini delle forze dell’asse, per la maggior parte appiedati, condotti dal tedesco Generale feldmaresciallo Erwing Johannes Eugen Rommel (Heidenheim 15 novembre 1921 - Herrlingen 14 ottobre 1944);
  • 1.600 carri armati inglesi, tra cui 285 potenti ed efficientissimi nuovi Scherman e Grant americani e 500 autoblinda, contro 200 carri armati tedeschi e 300 italiani, ormai obsoleti;
  • 3.000 micidiali cannoni di ogni calibro inglesi, 800 anticarro e 100 semoventi, riforniti continuamente dai rigurgitanti depositi del Cairo, contro i nostri 2.400 cannoni, di cui 58 pezzi controcarro, 6 pezzi contraerei, alcuni vecchi 75 e 105 da campagna e 24 cannoni tedeschi, dispersi su un fronte di 75 chilometri, con la disponibilità di munizionamento per due sole giornate di fuoco.

L’inizio dell’offensiva nemica comincia alle 20,45 del 23 ottobre 1942. La linea che congiunge la zona del villaggio di El Alamein e la depressione di “El Qattara”, si illumina a giorno per il tiro di artiglieria di proporzioni e violenza inusitate, abbattendosi sulle posizioni italo-tedesche. La Divisione “Folgore” in quei giorni era schierata all’ala destra dell’armata italo-tedesca, in pieno deserto ed occupava un fronte di circa 15 chilometri. I combattimenti si susseguono cruenti, con alterne vicende, fino all’alba del 2 novembre, quando il fronte viene sfondato in profondità dalle truppe inglesi, neozelandesi, australiane e indiane. La sera del 2 novembre, i Paracadutisti ricevono l’ordine di ripiegare. Il 186° e il 187° Reggimento, si attestano allora a ridosso di un campo minato, a quota 112, dove ricevono l’ordine di resistere ad oltranza. Coerenti e fedeli al giuramento prestato, la resistenza si protrasse oltre ogni auspicio, finché le nostre truppe, pur condotte con grande abilità dalla “Volpe del Deserto”, appiedate e ridotte ormai allo stremo, prive di tutto, ma non del coraggio, né della dignità di soldati valorosi, si immolavano quasi al completo. Le Divisioni Italiane “Folgore”, “Bologna”, “Pavia” e “Trieste”, nonché la Divisione dell’Afrika Korps tedesca, cadevano con le armi in pugno, meritando, con il rispetto e il commosso elogio dello stesso generale Rommel, l’onore delle armi da parte degli inglesi, i quali ebbero a caro prezzo l’agognata vittoria, anzi, evitando per poco una cocente sconfitta.
Ma fu la vittoria di Pirro; gli inglesi subirono gravi perdite: 13.500 fra caduti, feriti, dispersi e prigionieri; 600 carri armati distrutti, la maggior parte dai nostri Paracadutisti con le sole bottiglie incendiarie. Fu comunque un momento di grande splendore militare che non dovrà mai essere dimenticato.

Oggi su quegli stessi storici luoghi, sorgono i Sacrari italiano tedesco e britannico, eretti a testimonianza delle grandi virtù di tutti i combattenti e che raccolgono le spoglie mortali di quegli eroi, noti e ignoti, strappati al deserto e che mani pietose come quelle del Ten. Colonnello Paolo Caccia Dominioni di Sillavengo, Comandante del XXXI° Battaglione Genio Guastatori, hanno raccolto in oltre dodici anni di minuziose e rischiosissime ricerche tra i campi minati e dato degna, quanto doverosa sepoltura a diverse migliaia di salme, tra cui 5.346 di Caduti Italiani, nel Sacrario da lui stesso progettato e realizzato. Altri corpi giacciono ancora nella sabbia tuttora minata del vecchio fronte verso la depressione di “El Qattara”.
Non saranno dimenticati. Essi vivranno ancora nella nostra memoria, nella memoria degli uomini che sapranno tramandare alle nuove generazioni il loro sacrificio.

Credo quindi di interpretare i sentimenti dei lettori di questo scritto, se invito tutti a fermarsi un momento dalla corsa affannosa, che il mondo oggi compie, verso traguardi spesso nebulosi, per lo più materiali, a volte affannosi e rendere omaggio agli autentici valori di amor di Patria, senso dell’onore, spirito di sacrificio, rispetto della dignità dell’uomo, che promanano dalle tombe del deserto, dalle sepolture di quelli che furono “i ragazzi della Folgore” e che sono rimasti a El Alamein per l’eternità.
Durante la battaglia di “El Alamein” la “Folgore” ebbe circa 1.500 tra caduti e dispersi, 1.000 feriti e 2.000 prigionieri. Poco più di 500 uomini riuscirono a porsi in salvo nelle maniere più diverse e avventurose.

Mi piace ricordare - e con questo termino - questi valorosi giovani con una frase scritta dai Bersaglieri su una roccia nel campo di battaglia, al chilometro 111 da Alessandria d’Egitto: “MANCO’ LA FORTUNA, NON IL VALORE!”.
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