LE BOMBE DIMENTICATE
di Franco Malnati
Da tempo stavo occupandomi di uno studio sui bombardamenti aerei, navali e terrestri che l’Italia ha subito durante la seconda Guerra Mondiale. Un’opera preziosa e rivelatrice aveva un posto ben preciso e determinato nella mia biblioteca: parlo del volume edito nel 1965 dalla Associazione Vittime Civili di Guerra e intitolato “Italia Martire”. Bene il 13 agosto scorso, fra le 12,30 e le 16, mi è stato rubato da mani ignote, che sono andate a prenderlo a colpo sicuro!
Ho provato a chiedere all’Associazione l’acquisto di un altro esemplare, ma pare che non sia possibile. Il libro sarebbe esaurito.
Questo riferisco non a titolo di vano piagnisteo, bensì per dire che in questa faccenda dei bombardamenti qualcosa non torna. Vi sono forze che si oppongono all’accertamento della verità. Strano, incomprensibile, ma purtroppo vero ed innegabile!
Il mitico ISTAT ha da tempo chiuso la questione. Per tale istituto governativo, i civili italiani vittime di bombardamenti sarebbero stati circa settantamila in tutto. Poi, se si va a spulciare fra le cronache locali, da nessuno coordinate e raccolte quasi per arcigno ordine superiore, ci si accorge che le cifre sono ben diverse, ossia molto più elevate.
La ragione del fenomeno è abbastanza evidente. Si tratta di “Cupidigia di servilismo”, come direbbe il fu Vittorio Emanuele Orlando. In tutto il dopoguerra vi è stata una corsa generale, non solo italiana, a coprire, giustificare e minimizzare i massacri compiuti dai vincitori della seconda guerra mondiale. Partendo dalla esatta premessa che il vinto per antonomasia – ossia Hitler – è colpevole di una serie infinita di crimini, si è concluso che per sconfiggerlo e distruggerlo era inevitabile e legittimo perpetrare tutta una serie di altri crimini (non vale fare paragoni quantitativi: un delitto è sempre un delitto, e ogni delitto fa storia a sé!).
Si potrebbe dissertare a lungo su quello che è accaduto in tutti i continenti fra il 1943 e il 1946, ossia nell’ultima fase della seconda guerra mondiale, quando è maturata la Vittoria delle Nazioni Unite. Ma fermiamoci, sia pure riassuntivamente, al caso italiano di cui dicevo.
Solo per quanto attiene ai capoluoghi di provincia dell’Italia prebellica, che erano un po’ meno di un centinaio, mi risulterebbe che non più di nove capoluoghi siano rimasti indenni, o pressoché indenni, da perdite umane. Essi sarebbero Aosta, Bergamo, Como, Siena, Perugia, Chieti, Lecce, Sassari e Nuoro. Uso il condizionale per la scarsezza di informazioni. Potrei sbagliarmi in eccesso o in difetto. Solo per Bergamo sono buon testimone.
Tutti gli altri sono stati colpiti. Ma almeno una ventina lo sono stati in modo terribile, con numeri di vittime nell’ordine delle migliaia. Ecco un elenco sommario: Torino, Genova, Milano, Treviso, Zara, Bologna, Pisa, Livorno, Ancona, Pescara, Isernia, Terni, Roma, Napoli, Avellino, Benevento, Foggia, Palermo, Messina, Catania, Trapani, Cagliari. Io ritengo che già sommando i morti di questi 22 centri si perverrebbe intorno a quota centomila.
Per sottolineare la leggerezza (quasi certamente voluta) dei dati diffusi comunemente, citerò alcuni casi emblematici.
Per Isernia si pretende che i morti siano stati circa 500. Invece Federico Orlando, in una pubblicazione molto dettagliata (incentrata sulla fucilazione ad opera dei tedeschi del martire monarchico Laurelli, sindaco di un paese vicino ad Isernia), precisa che furono 4.300, e che la città fu rasa al suolo. Subito dopo l’armistizio, gli aerei “alleati” miravano ai due ponti sul Volturno all’ingresso e all’uscita della piccola città. Per colpire quelli, fecero una strage, nella quale morì un terzo della popolazione.
Nelle sole città di Avellino e Benevento, quasi interamente distrutte in concomitanza con lo sciagurato sbarco di Salerno, persero la vita almeno 5.000 persone (3.000 e 2.000 rispettivamente). Secondo l’ISTAT i morti sarebbero stati 1.508 nel totale delle due province!
Sempre a detta del benemerito istituto, in tutta la provincia di Trapani le vittime sarebbero state 1.093. Ma il capoluogo, da solo, ne ha avute 6.000, come attesta la motivazione della medaglia conferita ufficialmente dallo Stato nel dopoguerra… (e Marsala altri mille, confermati dal conferimento di analoga medaglia!).
Infine, l’incredibile vicenda di Foggia.
Nel libro “La città spezzata” dell’ingegnere Antonio Guerrieri, tecnico foggiano del tutto indipendente da posizioni politiche, viene documentato in modo inoppugnabile che su quella città, da maggio a settembre 1943, vi furono 21 bombardamenti, undici dei quali provocarono vittime. Precisamente: 300 il 28 maggio, 153 il 31 maggio, 91 il 20 giugno, 1.293 il 15 luglio, 41 il 16 agosto, 21 il 6 settembre. Totale 20.298. Si badi che il 19 agosto, il giorno più atroce, è quello del primo colloquio a Lisbona del Generale Castellano con l’inviato di Eisenhower per l’armistizio!
Ora, l’ISTAT sostiene che fino all’8 settembre 1943 i morti civili “nella provincia” di Foggia (non, quindi, nel solo capoluogo!) sarebbero stati 249 (duecentoquarantanove). Aggiunge anzi che “dopo” l’8 settembre ve ne sarebbero stati altri 358....
Come sia stata possibile una stortura del genere non si capisce. Eppure è tutto scritto, nero su bianco!
Volendo una riprova, del resto, basta consultare la “Treccani”. Nella prima appendice postbellica, è detto che la popolazione di Foggia nella prima metà del 1943 era intorno ai 79.000 abitanti e che nel 1945 era ridotta a poco più di 63.000. Ma a Foggia la guerra era già cessata da fine settembre 1943, per cui nell’intervallo non vi erano certamente state altre cause di diminuzione anagrafica.
A mio avviso, un calcolo serio dell’olocausto dei civili italiani in seguito ad azione bellica anglo-americana supera di molto le centocinquantamila unità. Se partiamo dalle 22 città citate sopra, è chiaro che il resto comprende parecchie decine di migliaia di morti. Non solo negli altri sessanta e più capoluoghi, ma in migliaia di comuni non capoluoghi. Una indagine minuziosa ed estesa a tutto il territorio coinvolto sarebbe obbligatoria, almeno in sede storica. Non vedo il motivo di nascondere pagine importanti, anche se dolorose, di quel periodo, solo per il fatto che vi sono colpevoli impuniti. Capisco che si vada ancora oggi a cercare gli esecutori delle stragi naziste (magari immobilizzati ad Amburgo o a Ratisbona in una sedia a rotelle), ma non mi sembra giusto ignorare il pilota di caccia americano che durante il bombardamento di Roma del 19 luglio 1943, non avendo da combattere con i caccia italiani, scese a bassa quota e si divertì a mitragliare la folla che scappava sul piazzale del cimitero del Verano. L’ha raccontato lui all’autore italiano del libro “Venti angeli sopra Roma”, che non ha avuto il coraggio e la dignità di allungargli un sacrosanto pugno sul muso!
Già, il revisionismo è roba scomoda. Ma è necessario. Indebolito dalla tarda età e derubato da irraggiungibili mascalzoni, spero che vi saranno giovani e robusti ricercatori della verità in grado di mettere con le spalle al muro coloro che per sporchi interessi di bottega la vogliono occultare sotto la coltre di bugie. Buon Lavoro!