Il Salento e L'armistizio del 1943 - Fidca

Title
Vai ai contenuti
IL SALENTO E L’ARMISTIZIO DEL 1943
di Franco Malnati

Il conformismo degli storici ha praticamente fatto sparire un aspetto estremamente importante della vicenda della tragica estate 1943, che ha segnato una svolta decisiva e disastrosa nella seconda guerra mondiale.
Per comprendere quanto avvenne, bisogna ritornare con la mente a quel momento storico, nel quale l’Italia, sottoposta per prima alla “escalation” dell’offensiva anglo -americana partita dall’Africa Settentrionale, per prima si rese conto dell’impossibilità di continuare la guerra, senza più speranza di vittoria e con l’incombere del nuovo tremendo pericolo comunista, in agguato nelle ancora lontane pianure dell’Ucraina.
Il 19 agosto 1943 il generale Castellano, inviato del governo Badoglio, ricevette dall’incaricato di Eisenhower, a Lisbona, il testo del “diktat” nemico per la resa, proveniente direttamente da Churchill e Roosevelt che erano in conferenza a Québec. Fu in base a quel testo che l’Italia accettò di cessare le ostilità.
Esso comprendeva, da un lato dodici clausole molto drastiche, e dall’altro un memorandum esplicativo. In sintesi, si prospettava una totale messa a disposizione dei vincitori del territorio e delle forze armate italiane (esattamente, del resto, come fu in seguito per tutti i documenti analoghi imposti alle altre nazioni vinte), e - correlativamente - una manifestazione di apparente onnipotenza anglo-americana, in seguito alla quale tutti gli italiani (comprese le 37 divisioni dislocate fuori del territorio nazionale, cioè in Francia e Balcani) sarebbero totalmente usciti da qualsiasi partecipazione diretta o indiretta alla prosecuzione della guerra, venendo addirittura riportati in Italia, a cura delle “Nazioni Unite”, laddove, come le citate 37 divisioni, si fossero trovate all’estero.
Erano condizioni dolorose, ma sembravano tali da far cessare l’incubo della terribile situazione in cui ci si era trovati, e da garantire una pausa di relativa tranquillità. Se ne ricavava la ragionevole certezza di una rapida occupazione del territorio italiano, senza ulteriori stragi e distruzioni. Per questo, le autorità italiane del tempo non ebbero dubbi sulla necessità di subire quelle imposizioni ultimative, rimettendosi all’altrui volontà quanto ai dettagli, e specificamente alle operazioni militari che venivano prospettate in linea generale ma venivano tenute segrete.
Tuttavia proprio in quegli stessi giorni, alla conferenza di Québec, i “due Grandi” avevano deciso - su pressione di Roosevelt - di cambiare radicalmente strategia, abbandonando del tutto quello che era il presupposto dell’armistizio italiano, ossia l’attacco a Hitler dal fianco scoperto a sud (che poteva fare terminare subito o quasi il conflitto mondiale). Lo scopo recondito, voluto dalla cricca dirigente dei democratici americani, era quello di dare tempo ai sovietici (in quel momento, come già accennato, ancora geograficamente lontani) di prendere parte preponderante alla spartizione dell’Europa centrale e sudorientale!
Tale spartizione, a vantaggio totale dei sovietici, avvenne effettivamente fra il 1944 e il 1945, ossia l’anno dopo, mentre l’offensiva anglo-americana contro la Germania si svolgeva attraverso la Francia, andando a cozzare prima contro il Vallo Atlantico e poi contro la linea Sigfrido.
Così stando le cose, la campagna d’Italia non aveva più senso dal punto di vista militare. Doveva però coesistere con l’armistizio imposto all’Italia e politicamente non rinunciabile. Quindi, fu adottata una scelta di compromesso: effettuare solo uno sbarco di dimensioni ridotte (attirando fra l’altro nella Penisola un buon numero di divisioni tedesche che sarebbero state sottratte agli altri fronti), lasciare che l’Italia diventasse un atroce campo di battaglia, rinunciare completamente ai Balcani, infine gettare le 37 divisioni italiane in Jugoslavia, Albania e Grecia in balìa dei tedeschi e dei partigiani stracciando l’impegno scritto di riportarle in Italia!
Un totale rovesciamento della situazione a danno dell’Italia, accuratamente occultato agli italiani, i quali erano fermi ai due documenti del 19 agosto e ad alcune finte indiscrezioni dei loro generali nei colloqui informali con Castellano. Si era parlato di due sbarchi, in località sottaciute. Si era scritto, nel memorandum, che l’armistizio sarebbe rimasto segreto, anche dopo la firma, fino a che gli “alleati” avessero deciso di pubblicarlo. Il governo italiano era all’oscuro di tutto, navigava nel buio.
I due sbarchi, a lume di logica, avrebbero dovuto avvenire nei luoghi più adatti alla luce della presenza tedesca in Italia, che gli anglo-americani ben conoscevano. La Sardegna ad ovest e il Salento ad est, sotto tale profilo, erano mète ideali, da occupare senza colpo ferire. Dalla Sardegna gli aerei potevano colpire qualunque obiettivo, dal Salento anche modeste forze terrestri potevano risalire lungo la costa adriatica senza incontrare importanti unità germaniche.
La nuova realtà, dopo Québec, divenne molto diversa, e cervellotica. Il supposto primo sbarco (ventilato come previsto durante la fase del segreto) sparì quasi per incanto, trasformandosi in una piccola operazione anfibia compiuta a Reggio Calabria “prima” della firma dell’armistizio. Il secondo, contestuale alla notizia ufficiale di detta firma, diede luogo ad una vicenda rocambolesca, che giunse sull’orlo della catastrofe.
L’area individuata era una striscia di terra pianeggiante nel Salernitano, dalle due parti del fiume Sele. La si era scelta solo perché era al limite di autonomia della copertura aerea di supporto con caccia-bombardieri, ignorando il fatto essenziale che si trovava in una delle poche zone dove i tedeschi erano forti e preparati. Il risultato fu che le truppe sbarcate si trovarono immediatamente in gravi difficoltà. Contrattaccate energicamente da Kesserling, fra il 9e il 13 settembre furono costrette a prendere seriamente in esame un rapido reimbarco onde evitare di essere annientate. A questo punto, viene da chiedersi cosa poteva accadere in mancanza di nuovi avvenimenti.
Il clamoroso fallimento militare avrebbe sicuramente permesso ai tedeschi di impadronirsi di tutta l’Italia, quanto meno fino alla Calabria. Il Re e il governo Badoglio sarebbero stati catturati e forse giustiziati. Si sarebbe installato a Roma un nuovo governo nazifascista. Gli anglo-americani si sarebbero guardati bene dal rinnovare il tentativo di invasione, limitandosi ad accentuare ancora i già feroci bombardamenti aerei e ad accusare gli italiani di violazione dei patti. Alla fine della guerra (il cui esito non sarebbe comunque cambiato). Nessuno ci avrebbe salvati da una sorte simile a quella tedesca, compreso il diritto dell’URSS ad ottenere una parte d’Italia sotto il suo controllo.
Ma gli avvenimenti vi furono, e il loro epicentro fu l’area pugliese fra Taranto e Bari.
Accadde che l’unico militare anglo-americano con la testa sulle spalle, il generale inglese Alexander, prese, già il 9 settembre, un’iniziativa personale (approvata a posteriori da Churchill, che riferisce la circostanza nelle sue memorie), quella cioè di inviare un contingente a Taranto, dove gli risultava non vi fossero tedeschi. Occupato senza opposizione quell’importante porto, scoperse che l’intero Salento (ossia le tre province italiane di Taranto, Lecce e Brindisi) era in mano esclusivamente italiana, con la presenza a Brindisi, dal giorno 10, del Re e di Badoglio. Pertanto, spinse le sue truppe (per la verità, abbastanza con comodo) verso nord-ovest, arrivando il giorno 15 a Bari, dove nel frattempo gli italiani avevano combattuto - per opera del valoroso generale Nicola Bellomo - ed avevano cacciato i reparti tedeschi che si erano impadroniti di sorpresa, in un primo momento, del porto.
Di qui l’inattesa e improvvisa svolta. Kesserling, accortosi che (almeno in teoria) quella parte delle sue armate che si trovava in Calabria rischiava di essere imbottigliata, nella lunga e stretta penisola, se gli inglesi del Salento si fossero collegati con lo sbarco nel Salernitano, dispose per una fulminea ritirata in direzione nord-est, al di là dell’imboccatura della penisola stessa e quindi verso la Basilicata e la Puglia, fino a costituire una linea difensiva sull’Ofanto, fra Bari e Foggia. Così facendo, però, dovette rinunciare ad eliminare la testa di ponte dalle due parti del Sele, che si trovò automaticamente sbloccata. Il giorno 14 l’armata americana, in luogo di reimbarcarsi, ebbe la visita di una “troupe” di giornalisti giunta dalla Calabria, quasi come una staffetta delle truppe britanniche del placido generale Montgomery, che non avevano più avversari davanti a sè!
Questa è la vera storia degli eventi che condussero all’instaurazione di un vero e proprio fronte continuo nell’Italia Meridionale - prima da Napoli a Foggia, e poi sulla Linea Gustav - dove poi morirono migliaia e migliaia di uomini durante tutto l’inverno 1943-1944.
Ora, succede che la vastissima saggistica che tratta l’argomento della campagna d’Italia con estrema ampiezza, tanto da parte anglo-americana che da parte italiana, censura quasi del tutto il punto fondamentale, che è proprio costituito dalle operazioni militari nelle Puglie, assolutamente determinanti nel fare sì che l’azione di Eisenhower (male organizzata, asfittica e sull’orlo del disastro) consentisse la facile conquista nel giro di pochi giorni di ben sei aree geografiche di grande importanza strategica: Calabria, Basilicata, Puglie, Campania, Sardegna e Corsica.
Il motivo della censura è politico. Si vuole cancellare il fatto che queste operazioni sono dipese quasi esclusivamente dalle forze armate italiane. E non solo italiane, ma più precisamente regie (o “badogliane”, come si diceva all’epoca). Furono elementi del Regio Esercito che mantennero e difesero il baluardo pugliese, così come altri elementi dello stesso Regio Esercito, nello stesso periodo, mantenevano e difendevano le isole di Sardegna e Corsica costringendo i tedeschi a ritirarsi sul continente con gravi perdite. E furono i civili napoletani che a fine settembre, a prezzo di 500 morti, insorsero contro l’occupante obbligandolo a sgomberare la città (si legga il bollettino di guerra della Wehrmacht, che ammette espressamente il fatto!).
La verità non si può dire, in quanto non fa comodo.
Non fa comodo alla leggenda repubblicana italiana, dato che essa è basata sulla demonizzazione del governo Badoglio, della Monarchia e dei monarchici tutti, accompagnata dall’esaltazione dei partiti antifascisti (i quali, nella fase armistiziale, esistevano solo sulla carta).
E non fa comodo neppure, stranamente, neppure agli anglo-americani, benché questi ultimi siano stati i beneficiari di quella rapida conquista di mezza Italia.
Come mai?
C’è una ragione anche di questo.
Come sappiamo, a Québec i piani erano stati cambiati. L’offensiva da sud era stata sostituita con un approccio marginale al territorio italiano, militarmente pressoché ininfluente, e finalizzata soltanto a fiancheggiare il rilevante successo politico e propagandistico rappresentato dalla resa di un membro non insignificante della coalizione avversaria. La posizione dell’Italia come tale non era stata presa neppure in considerazione. Succedesse quello che doveva succedere.
Ma gli italiani, destinati ad essere “une quantité négligeable”, avevano invece assunto spontaneamente una veste quasi da protagonisti, pur nella scarsezza dei loro mezzi. Avevano creato le premesse per dar luogo ad un fronte di grande impatto mediatico, addirittura con il prestigioso obbiettivo di Roma, Firenze, Milano, la barriera alpina… Quasi come Churchill aveva progettato in precedenza, salvo la paurosa falla dei Balcani!
Naturalmente, non era quello che volevano gli americani. Costoro, coinvolti senza volerlo in un’avventura di dimensioni impreviste, reagirono male. Non potendo mostrarlo apertamente (per ovvie ragioni) si limitarono a spendersi il meno possibile, ed a farlo con evidente malavoglia. Il che non li salvò dalle ingenti perdite che riportarono risalendo a fatica l’Italia… e per le quali non trovarono di meglio che scaricare la colpa sugli italiani!
Ingiustizie e porcherie della Storia. Ma si può, e si deve, rimediare.

Torna ai contenuti